Durante il periodo del Carnevale si realizzavano dei costumi (le mascherine) che venivano indossati non solo dai bambini, ma spesso anche dagli adulti. Le donne solitamente si vestivano da uomini, perché in quei giorni tutto – o quasi – era concesso; per esempio, era vietato portare armi e bastoni, come già nell’Ottocento proibivano le ordinanze intendentizie. Non era proibito, però, spaventare i viandanti, e c’era anche chi si copriva con delle lenzuola e faceva scherzi alla gente di passaggio. Per la preparazione dei costumi spesso si utilizzavano i vecchi vestiti che si trovavano in casa, ma c’era anche chi ricorreva all’ingegno e alla perizia dei sarti del paese, che durante l’anno mettevano da parte qualche scarto o qualche indumento per l’occasione. I sarti erano orgogliosi delle loro creazioni e gareggiavano tra loro a chi fosse riuscito a creare il travestimento più bello e realistico.
Il divertimento più grande per i bambini era andare casa per casa a chiedere dolci e prelibatezze. Molto ambiti erano i ravioli dolci, un piatto tipico del periodo, che alcune controguerresi preparano ancora oggi. I ravioli erano riempiti con ricotta di pecora e poi lessati nell’acqua bollente o fritti nell’olio. Dopodiché venivano spolverati col pecorino grattugiato (poi sostituito dal parmigiano, che ha cominciato a diffondersi negli anni Cinquanta), zucchero o cannella, a seconda dei gusti della famiglia.
A Carnevale si usava preparare un fantoccio, simile alla pupazza di capodanno, che veniva poi arso in piazza. Sul finire del mese di febbraio si scacciavano li crucchiə: i contadini si riunivano sul far della sera e andavano per i campi a fare più rumore che potevano, sbattendo coperchi di pentole, vecchie stoviglie e arnesi di metallo. Questo “rituale” si riteneva potesse scacciare topi e talpe che infestavano le campagne. Il valore simbolico di questo rito è testimoniato dalle filastrocche che si recitavano nell’occasione. Una di queste è la seguente, raccolta da Mario Frattarelli: «Iscia febbrarə ca entra marzə, tuttə li crucchiə massera s’ammazzə. Chi pə marə, chi pə terra, tutti li crucchiə jo a Pərella. Chi pə nən qua, chi pə nən là, tuttə li crucchiə jo a Jajà. Chi pə nən su, chi pə nən gnò, tuttə li crucchiə io a Vracalò. Chi pə terra e chi pə marə, tuttə li crucchie la a li Palmarə» [Esci febbraio che entra marzo, tutti i crocchi stasera s’ammazzano. Chi per mare chi per terra, tutti i crocchi giù a Pərella. Chi per di qua, chi per di là, tutti i crocchi giù a Jajà. Chi per di su, chi per di giù, tutti i crocchi giù a Vracalò. Chi per terra e chi per mare, tutti i crocchi lì dai Palmarə].