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Tradizioni del periodo natalizio e dell’Epifania (24 dicembre-6 gennaio). La cena della Vigilia di Natale. Il ceppo

 

Il periodo natalizio era solennizzato da alcuni riti che portavano allegria in tutte le famiglie. Nelle case, la sera della Vigilia, si usava preparare una grande cena, la cui portata predominante consisteva nei fritti, ossia verdure fritte nell’olio bollente. Si friggeva anche la liva, cioè le olive verdi ripiene di carne, insaporite con scorza di limone, noce moscata, uova e pecorino. La ricetta è quella delle olive all’ascolana, con l’unica differenza che la carne doveva essere impastata e messa nelle olive cruda, non cotta. Comuni erano anche i piatti a base di ceci. Tipici della Vigilia erano, poi, le sardine sott’olio (li sardellə sott’ujə) e il baccalà (lu baccalà). Quest’ultimo veniva preparato in vari modi: bollito, arrosto o fritto con la potra, una sorta di pastella realizzata con acqua e farina. I dolci erano un appuntamento irrinunciabile. Per tutto il periodo natalizio si preparavano i calcionetti (li cagginittə), dolci in pasta sfoglia simili a ravioli, ripieni di castagne o ceci ridotti a purè (o anche “metà e metà”), che venivano fritti nell’olio. Le massaie lasciavano correre la fantasia e la ricetta conta innumerevoli varianti: c’era chi aggiungeva una spolverata di cannella, chi bagnava il ripieno nel mosto cotto, chi metteva scaglie di cioccolato, chi si concedeva l’uso dello zucchero. Altro alimento immancabile era la frutta secca. In particolare, si consumavano i fichi secchi, che alle volte venivano impastati a forma di salame. Li librittə, invece, erano panetti di fichi secchi pressati a forma di cioccolatino. Anche queste ricette si differenziavano leggermente da famiglia a famiglia; ad esempio, c’era chi nell’impasto di fichi usava mettere le scaglie di cioccolato e chi preferiva noci e mandorle. Le donne di casa preparavano anche il croccante di mandorle, molto apprezzato nelle famiglie. Dopo cena ci si recava alla messa della Vigilia, che ancora oggi si celebra, a mezzanotte, nella chiesa madre del paese. Nei tempi passati lo spazio quasi non bastava ad accogliere tutti i controguerresi che vi si assiepavano.
Sempre la sera della Vigilia si usava mettere nel focolare un grande tronco, lu cippə. La tradizione voleva che questo servisse alla Madonna per riscaldare i panni per Gesù Bambino. Il ceppo, però, non doveva bruciare completamente, giacché veniva rimesso nel fuoco in occasione dell’Epifania, il 6 gennaio dell’anno nuovo. Per quanto il ceppo era ritenuto importante, mentre bruciava si buttava un po’ di cibo nel caminetto, per farglielo “assaggiare”! Alla cenere del ceppo erano attribuiti effetti “magici”, perciò veniva raccolta in sacchetti e usata per tutta una serie di rituali nel corso dell’anno. In occasione della semina, ad esempio, se ne spargeva un pugno nel campo, come buon auspicio per il raccolto. Poteri taumaturgici erano attribuiti alle schegge del ceppo, che venivano accuratamente conservate; ad esse veniva attribuito anche il potere di “scongiurare” i danni dei temporali, della grandine e, in generale, degli eventi atmosferici. 
Si pensava anche che gli animali domestici prendessero la parola la notte della Vigilia, pertanto i contadini dovevano trattarli bene, altrimenti avrebbero riferito a Gesù Bambino sulla pessima condotta dei proprietari. Questa tradizione, in altre parti d’Italia, si riscontra nel giorno di Sant’Antonio Abate, ma a Controguerra gli anziani che ho intervistato l’hanno collegata tutti al Natale. Per tutto il periodo natalizio erano molto praticati i giochi in famiglia, come la tombola. Annualmente veniva organizzata una grande tombolata nel forno di Zeffərì, perché l’ambiente era caldo e accogliente. Frequenti erano anche i giochi con le carte. Alle volte ne venivano persino inventati di nuovi, come il Terribbələ, un gioco simile allo stoppa, che per alcuni anni ebbe una grande diffusione in paese.

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