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Il fidanzamento e il matrimonio

 

Una volta il fidanzamento non era cosa facile: due giovani che volevano “frequentarsi” dovevano ottenere l’approvazione delle famiglie e agli incontri non venivano mai lasciati soli, poiché c’era sempre qualche parente a controllarli. In alcuni casi, ma non erano certo la maggioranza, gli incontri tra le coppie venivano combinati da un sensale, detto lu Zaraffə.
Un lusso che si concedevano le donne contadine era il corallo, materiale prezioso utilizzato per realizzare orecchini, bracciali e, soprattutto, collane. In occasione del fidanzamento, per solennizzare la promessa fatta, la futura suocera regalava alla sposa del figlio una collana di corallo rosso. I più anziani ricordano che il corallo non era solo un vezzo, ma si riteneva avesse particolari poteri “protettivi” nei confronti della giovane sposa. Nel caso in cui non fosse stato possibile acquistare del corallo, la collana poteva anche essere d’oro.
Sino alla metà del secolo scorso l’effige in terracotta della Vergine con Bambino, conservata nel santuario della Madonna delle Grazie di Controguerra, aveva diverse collane, donate dai fedeli come ex voto. Oggi le antiche collane non esistono più, perché vendute per realizzare una corona in onore della Madonna.
I fidanzamenti non erano “indissolubili”, come si potrebbe pensare, e talvolta accadeva che i fidanzati decidessero di interromperli. Il tempo del fidanzamento, infatti, serviva proprio per conoscersi ed era detto "fare l’amore". Il termine "fare" credo vada interpretato come costruire, altro significato del termine latino "facere": due giovani, nel fidanzamento, “costruivano” le basi del rapporto e, se le cose andavano bene, decidevano di sposarsi.
Alle volte, se non c’era l’approvazione delle famiglie, a due giovani innamorati che volevano sposarsi non restava che la via della fujtina, ossia la fuga d’amore. Non era frequente, ma occasionalmente capitava che, per vincere le resistenze delle famiglie, due fidanzati decidessero di “scappare” a casa di un amico o di un parente, o di partire per un breve viaggio in qualche paese vicino. Poi, un amico o un parente dei due si recava a parlamentare con le famiglie discordi, spiegando l’accaduto e la volontà dei due innamorati. A quel punto, solitamente le famiglie davano il loro assenso al matrimonio.
Il matrimonio celebrato in chiesa, a partire dal Concordato del 1929, oltre ad essere un sacramento può avere effetti giuridici anche per l’ordinamento italiano. Prima del Concordato, quando i rapporti tra lo Stato italiano e il Papato erano tesi, il matrimonio si celebrava due volte: in chiesa e in municipio, perché il primo era un sacramento, ma solo il secondo aveva valore per la legge.
Dopo la celebrazione seguiva il pranzo di matrimonio. Solo tra gli anni Sessanta e Settanta i pranzi matrimoniali si sono spostati dalle abitazioni private ai ristoranti. Prima, era uso festeggiare i matrimoni in casa o in campagna: i contadini allestivano grandi tavolate nell’aia e si mangiava “sotto al tendone”, una grande tela che riparava i commensali dal sole. Alla preparazione dei pranzi nuziali collaboravano tutte le donne della famiglia, ma di solito venivano chiamate alcune signore particolarmente competenti, che dirigevano tutte le cuoche. A Controguerra, intorno alla metà del Novecento, erano specializzate nelle grandi imprese culinarie le signore Gelsa, Cleria də Bəlà, Nənetta e Mərinda.
Il viaggio di nozze prima della metà del Novecento non esisteva per i popolani: era un’usanza a cui erano avvezzi solo i ricchi del paese. Solo a partire dagli anni Sessanta ha cominciato a prender piede in ogni ceto sociale la consuetudine, per le novelle coppie, di fare un viaggio insieme dopo la celebrazione delle nozze.

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