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Rinvenimenti, siti e scoperte di epoca preistorica

 

«Un agricoltore per nome Bernardo Moretti, lavorando un terreno ai confini tra Corropoli e Controguerra, nella contrada detta del Pignotto, trovò un sepolcro alla profondità di mezzo metro (…)». Così scriveva in un rapporto del luglio 1884 il barone Domenico De Guidobaldi di Nereto, all’epoca Ispettore degli Scavi e Monumenti della Provincia di Teramo. Il territorio controguerrese, negli ultimi due secoli, ha restituito numerosi e pregevoli reperti archeologici, rivelando una continuità abitativa che va dalla preistoria ai giorni nostri. L’uomo preistorico, infatti, si è insediato con facilità nella vallata vibratiana, probabilmente per la vicinanza con il mare, la presenza di fiumi importanti e l’abbondanza di fonti d’acqua dolce.

Questo rinvenimento è citato anche da Vincenzo D’Ercole, nella sua Rassegna paletnologica, curata per i DAT, e rivela quanto sia importante (e risalente nel tempo) la ricerca archeologica sul territorio di Controguerra. Alfonso Panichi in anni recenti ha tentato di definire meglio l’ubicazione di questo ritrovamento: utilizzando una carta topografica dell’I.G.M., lo storico ritiene che il guerriero esaminato dal De Guidobaldi sia riemerso nei pressi di quota 145, in contrada Pignotto.

Prima del De Guidobaldi si interessarono di Controguerra gli archeologi Nemesio Ricci e Concezio Rosa. Il primo ha portato alla luce interessanti manufatti di epoca romana e medievale, mentre il secondo ha individuato un villaggio neolitico e varie testimonianze di epoca preistorica

Quella del Rosa si rivelò una scoperta fondamentale per l’archeologia vibratiana: nel territorio di Controguerra l’archeologo riuscì ad individuare un villaggio neolitico, che battezzò col nome di «Villaggio di Belvedere», dal nome della contrada in cui era ubicato il sito.

Ancora oggi alcuni reperti fittili preistorici provenienti dal Villaggio di Belvedere sono conservati al Museo Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma e al Museo Fiorentino di Preistoria.

Nel 1909, un altro archeologo, Innocenzo Dall’Osso, si recò in Belvedere per individuare i resti del villaggio neolitico, ma non fu in grado di determinarne l’esatta posizione, per via dei lavori agricoli che, negli anni, avevano completamente devastato il sito. Tuttavia, nel corso della sua indagine, l’archeologo emiliano fece una scoperta altrettanto significativa, riportando alla luce un abitato dell’età del Ferro, probabilmente quello a cui era associato il sepolcreto rinvenuto anni prima da Concezio Rosa.

Alfonso Panichi segnala che «in località San Lorenzo presso il Colle Belvedere» venne rinvenuta un’amigdala che fu poi esposta al Museo Pigorini di Roma. Per Panichi questi reperti sarebbero coevi a quelli rinvenuti nel villaggio neolitico di Ripoli, risalente a oltre 5000 anni fa.

Le ricerche archeologiche, però, non riguardano solo l’area di Belvedere, nel 1871 sempre Concezio Rosa riportò alla luce una lancia di selce rossa «di forma molto allungata e svelta», trovata «sulle colline di Controguerra». L’esemplare risultava essere simile ad altri trovati in Danimarca ed in Svizzera, «e specialmente con quella raccolta nel lago di Neuchâtel, e fatta conoscere dal Desor».

L’anno seguente l’archeologo rinvenne un coltello preistorico in selce rossa nelle «colline meridionali del Comune». Si trattava del «coltello più grande presentatoci quest’anno dalla nostra Valle [della Vibrata]».

Ancora, lo stesso rinvenne in contrada Giardino in un terreno del Sig. Cav. Montori, alla profondità di circa m 0,50, mentre venivano scavate le fondamenta di una casa colonica uno strumento in selce rossa, che in epoca contemporanea D’Ercole ha precisato essere un bifacciale in selce del paleolitico inferiore. Per il Rosa «La poca grossezza della base, ed il taglio molto affilato che presenta all’apice, fanno supporre che siffatto strumento legato alla cima di un asta avesse potuto servire anche di potente arma offensiva, come usavano appunto i Romani, che servivansi del vomero come arma in tempo di guerra».

Per concludere sulle scoperte di Concezio Rosa, ricordo che l’archeologo, nel 1874, rinvenne i resti di una capanna risalente all’età del Ferro «in un terreno appartenente al beneficio di San Salvatore».

In contrada Torretta, nel gennaio del 1979, la Cooperativa “Archeologia e Territorio” di Campli individuò un piccolo abitato riferibile all’età del Bronzo e all’età del Ferro. La scoperta avvenne casualmente durante i lavori di scasso per l’impianto di una vigna, sul versante orientale del colle. Nel corso dello stesso anno si interessò del ritrovamento l’archeologo Mario Radmilli, il quale, a settembre, effettuò dei saggi di scavo, «sia sulla cima che sul pendio orientale della collina, rinvenendo materiali preistorici e storici in giacitura rimescolata a causa dei lavori agricoli».

Nel corso della medesima ricognizione Radmilli ispezionò la località Cona, dietro indicazione di Alfonso Panichi, rinvenendovi frammenti di materiale dell’età del Bronzo. Panichi offre qualche dettaglio in più su questa ricognizione:

Sul colle della Madonna delle Grazie, sin dietro la chiesina della Icona, si sono notati, a seguito di scavo di fondamenta per abitazioni civili, tracce di insediamento dell’Età dei metalli, risalenti, per lo più, alla Civiltà Picena (IX-VIII sec. a.C.): persino davanti la chiesa delle Grazie, durante i recenti lavori di sistemazione della gradinata, si sono visti frammenti (talora reliquie) di manufatti silicei e ceramici, di intonaci di capanne e altro. Vi è stato raccolto, tra cocci e terra nera, un bel raschiatoio di selce alquanto consunto.

Sempre nel 1979, la Cooperativa “Archeologia e Territorio” individuò due siti archeologici sul territorio del Comune: uno in località Pignotto, «dove, in un campo arato, si rinvennero numerosi materiali archeologici di varie epoche, fra cui anche alcuni di età preistorica», e un altro «sulle pendici orientali di colle Pignotto, in cui sono raccolti scarsi materiali fittili ed intonaco di capanna di età preistorica»

La Cooperativa ispezionò anche il sito di Villa Quaglia, individuando, una «grossa macchia nerastra sul terreno in cui si raccolsero alcuni reperti fittili e litici».

Ancora Alfonso Panichi, tra il 1977 e il 1979, ispezionando il territorio del Comune, individuò «una ventina di siti archeologici, protostorici e storici» e afferma di aver raccolto «circa 2.000 reperti» poi trasferiti nei depositi comunali per essere conservati.

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