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Le case di terra dette pinciaie

 
Categoria/e: Palazzi, Monumenti e Reperti

Sparse sul territorio di Controguerra si possono ancora ammirare alcune pinciaie, le tipiche case di terra della civiltà contadina.

Oggi nessuno fabbrica più case di terra, ma in passato erano molto diffuse. L’economicità dei materiali e la semplicità costruttiva, che pure richiedeva grande perizia tecnica, le rendevano l’abitazione ideale per un territorio agricolo come quello controguerrese. Nei secoli passati, infatti, le case in muratura erano poche e perlopiù concentrate nel borgo. 

Proprio vicino all’abitato, in Via Circonvallazione Nord, all’imbocco del Vicolo delle Siciliane, si può ancora ammirare una pinciaia, arrivata ai giorni nostri in discrete condizioni di conservazione, perché rinforzata con strutture in mattoni.

Essa si compone di un piano principale, ad altezza della strada, suddiviso in due stanze, e di un piano inferiore seminterrato, che in passato era impiegato in parte come cucina e in parte come stalla. Un muro separava i due ambienti. Il piano superiore e quello inferiore non sono tra loro collegati da scale interne, quindi l’unico modo per accedervi è passare dall’esterno. Nella seconda metà del secolo scorso, per incrementarne la resistenza della struttura, è stata realizzata l’incamiciatura in mattoncini, che ha salvato l’edificio da un sicuro crollo. In alcune parti della facciata è ancora chiaramente visibile il materiale da costruzione originario, ossia la terra mista alla paglia.

Come accennato, quella appena descritta è solo una delle case di terra ancora visibili sul territorio controguerrese. Alcune strutture sono visibili nell’abitato, in Via Giardino e in Via Guglielmo Marconi, sulla sommità di Colle Porcino (in territorio di Corropoli), in contrada San Venanzio, in Contrada Pignotto e in contrada San Giuseppe, ma una ricognizione più attenta potrebbe portare a censire altri edifici in terra.

Carmine Stipa (detto Nino), originario di Torano Nuovo ma vissuto sempre a Controguerra, figlio di uno degli ultimi pəngiralə (fabbricatori di case di terra) della Val Vibrata, in gioventù ha seguito le orme del padre Carlo ed ha appreso i rudimenti dell’arte. Questa è la sua testimonianza sulla fabbricazione delle case di terra:

"La prima fase della costruzione di una casa di terra era la progettazione. Lu pəngiralə ascoltava i bisogni del contadino committente e gli proponeva un modello di edificio, concordando il numero di stanze, di piani e la grandezza del complesso. In base alla richiesta, lu pəngiralə chiedeva un compenso e un certo numero di uomini per svolgere le attività manuali. La costruzione della casa di terra iniziava con lo scavo delle fondamenta, proprio come si fa per le strutture in mattoni. Tuttavia, invece del cemento, le fondamenta venivano riempite con terra e paglia impastati insieme. Per rendere dura e resistente la superficie, vi camminavano sopra uomini e animali.  Dopo questa operazione, iniziava l’innalzamento delle mura. I manovali impastavano paglia e terra e realizzavano delle palle, grandi dieci o quindici centimetri di diametro, dette marullə. Con un passamano tra i manovali, le palle di fango e paglia arrivavano al pəngiralə, che procedeva a collocarle una sull’altra nel muro in costruzione, come fossero mattoni. Dopo aver collocato la palla di fango, con una pala dalla forma piatta si livellavano i bordi. Guai a non prestare attenzione a questa operazione, si rischiava che le mura venissero storte, pregiudicando la stabilità dell’edificio! In particolare, per maggior sicurezza, ogni 50 centimetri di altezza il pəngiralə smetteva di collocare altri marullə e “appianava” il pezzo di muro innalzato, quindi levigava con la pala, ancora una volta, tutti i lati e i bordi. Quando le mura erano abbastanza alte, si posavano le travi e si costruiva il soffitto con delle tavole. Poi, volendo, si innalzava un altro piano. Le case più grandi avevano fino a tre piani, tutti realizzati con l’impasto di paglia e fango. Alla fine, si realizzava il tetto in legno, che veniva coperto con i coppi. Per costruire un’abitazione a tre piani bisognava lavorare da maggio a settembre. Infatti, un lavoro del genere veniva svolto solo in questo periodo dell’anno, non in inverno. Quando il pəngiralə non fabbricava case di terra si dedicava alla campagna, giacché chi faceva questo mestiere di solito aveva anche dei terreni a cui badare. Fabbricare case di terra era un “di più”. Solitamente, poi, dopo aver realizzato l’abitazione, trattandosi di case rurali, si fabbricava anche il forno per il pane, sempre in terra. Va detto che il costo dell’edificio non stava tanto nei materiali, che erano chiaramente economici, ma nel compenso del pəngiralə e dei manovali. Il primo, in particolare, era pagato meglio tanto più erano note la sua fama e la capacità di realizzare strutture funzionali e resistenti."

Carlo, il padre di Nino, ha fabbricato pinciaie fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento, quando, nel giro di un decennio, la richiesta crollò del tutto, essendosi ormai diffuso l’uso del mattone. Le sue opere erano richieste anche fuori dai confini del Teramano, tanto che alcune commissioni erano arrivate addirittura da Norcia.

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via Circonvallazione Nord, Controguerra (Te)
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